Il sabato del villaggio

“Il sabato del villaggio” è una poesia di Giacomo Leopardi, poeta, filosofo e studioso italiano. La poesia fu scritta nel 1829 ed è considerata una delle opere più famose di Leopardi.

La poesia descrive il villaggio un sabato pomeriggio, quando gli abitanti del villaggio si riuniscono nella piazza della città per socializzare e godersi il caldo clima estivo. L’oratore della poesia osserva la scena e commenta la gioia e la felicità degli abitanti del villaggio, in contrasto con i suoi sentimenti di solitudine e isolamento.

La poesia è scritta in un linguaggio semplice e utilizza immagini vivide per creare un potente effetto emotivo. Esplora i temi dell’isolamento sociale, la bellezza della natura e il contrasto tra le gioie del momento presente e la natura fugace della vita.

Nel complesso, “Il sabato del villaggio” è un classico esempio dello stile e dei temi di Leopardi, e rimane una poesia amata e ampiamente letta nella letteratura italiana.

IL SABATO DEL VILLAGGIO

La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
Giù da’ colli e da’ tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l’altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s’affretta, e s’adopra
Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
E’ come un giorno d’allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave

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